Sesta tappa in Veneto della campagna Legambiente sulla dispersione di metano in atmosfera
Padova, 16 ottobre 2025 Comunicato stampa
Sesta tappa in Veneto della campagna Legambiente
sulla dispersione di metano in atmosfera
“C’è Puzza di Gas – Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”
Su circa 15 mila punti di misura validi in 14 infrastrutture del gas nelle province di Rovigo, Padova, Vicenza e Venezia, ben 65 presentano valori superiori a 500 ppm
Legambiente: “Il metano pesa sempre di più sul clima: se nel 1990 rappresentava l’11% delle emissioni di gas climalteranti, oggi ha raggiunto il 14%. Indebolire il Regolamento europeo significherebbe fare un passo indietro che non possiamo permetterci”
In Veneto, dei 14.641 punti di misura validi monitorati da Legambiente in 14 infrastrutture a gas – otto impianti di regolazione e misura e sei stazioni di valvola nelle province di Rovigo, Vicenza, Padova e Venezia – ben 65 hanno fatto registrare concentrazioni di metano superiori a 500 ppm, ovvero il valore che secondo il regolamento europeo richiede alle imprese di intervenire per riparare e chiudere le dispersioni. È questo il dato più rilevante che emerge dal monitoraggio che il Cigno Verde ha effettuato dal 6 all’8 ottobre nell’ambito della sesta tappa della campagna “C’è Puzza di Gas – Per il futuro del Pianeta non tapparti il Naso”, che denuncia i rischi legati all’estrazione e alla distribuzione di gas fossile in Italia, evidenziando le perdite e i rilasci di metano attraverso monitoraggi delle infrastrutture della filiera.
In particolare, nei 14 impianti, sono stati 30 gli elementi su cui Legambiente ha posto la sua concentrazione - tra flange, valvole, tubature e sfiati. Di questi, 19 hanno mostrato concentrazioni medie che, in base alla classificazione impiegata nel settore industriale per garantire la sicurezza degli impianti, sono risultate basse, tre medie e otto irrilevanti.
Un altro dato significativo, che emerge dai 14.641 punti di misura validi, è quello legato alle dispersioni: se da un lato il 51,9% presenta un livello di emissioni irrilevante, dall’altro il 48,2% ha registrato concentrazioni superiori a 10 ppm, un numero al di sopra del valore di fondo, pari a 2 ppm. Si tratta di un risultato che per l’associazione ambientalista segnala la presenza di perdite lungo la filiera del gas con implicazioni importanti per il clima. Fondamentale, a tal proposito, sottolineare come i dati emersi sono da considerarsi molto cautelativi, in quanto gli operatori hanno effettuato le misurazioni restando all’esterno del perimetro degli impianti, mantenendo una certa distanza tra lo strumento di rilevazione, il cosiddetto “naso elettronico”, e il punto effettivo dell’emissione.
Difatti, se il monitoraggio fosse stato condotto alla distanza di un metro, i valori raccolti avrebbero mostrato risultati differenti. Nello specifico lo 0,9% sarebbe stato classificato come “alto”, il 47,1% come “medio”, il 41,3% come “basso” e solo il 10,7% come “irrilevante” sul totale di 14.641 punti di misura validi.
“Il gas fossile è un problema sempre più rilevante per il clima – sostiene la responsabile energia di Legambiente, Katiuscia Eroe -. Basta guardare la sua crescita in termini percentuali sul totale dei gas serra: si è passati dall’11% nel 1990 al 14% nel 2023. Questo accade perché le politiche per contenere le emissioni, anche provenienti da altri settori, come quello agricolo e quello legato ai rifiuti, sono pressoché inesistenti. Infatti, seppur il settore energetico ha fatto registrare importanti passi in avanti, la mancanza di regole stringenti, accompagnate da una politica di spinta verso la realizzazione di nuove infrastrutture a gas – si vedano il caso Sardegna, la dorsale Adriatica i rigassificatori, per citarne alcuni – rischiano di vanificare gli sforzi fatti fino ad oggi. Per questo è fondamentale, non solo che il Regolamento non venga indebolito con semplificazioni che andrebbero solo a vantaggio degli operatori, ma anche che l’Italia rispetti le scadenze previste dall’Europa per l’attuazione delle nuove norme e che si adoperi per adottare norme stringenti e lungimiranti per diventare capofila in Europa di un tema fondamentale per la lotta alla crisi climatica”.
“Il problema delle emissioni fuggitive lungo la filiera italiana delle fonti fossili riguarda anche il Veneto. Legambiente ha rilevato 65 punti di misura validi con concentrazioni superiori a 500 ppm su circa 15 mila misurazioni, superamenti che secondo il Regolamento europeo richiedono l’intervento obbligatorio dei gestori – aggiunge il presidente di Legambiente Veneto, Luigi Lazzaro -. Anche se numericamente limitate, queste perdite di gas fossile non devono essere sottovalutate: tante piccole perdite, sommate tra loro, equivalgono a una perdita enorme e non solo in termini di emissioni climalteranti: il gas disperso si traduce in uno spreco di una risorsa al centro delle politiche energetiche del Paese, costringendoci a importazioni di cui potremmo fare a meno, lungo tutta la filiera di trasporto e distribuzione, dal produttore al distributore e fino al consumatore che, inevitabilmente, vedrà aumentare la propria bolletta energetica. Per questo è fondamentale mantenere alta l’attenzione, chiudendo ogni dispersione e promuovendo controlli costanti e interventi tempestivi per ridurre le emissioni e tutelare le persone e l’ambiente dai malanni che provoca la filiera delle fonti fossili”.
Emissioni di metano, le criticità più evidenti.
Legambiente punta i riflettori su tre delle 14 infrastrutture monitorate: le stazioni di valvola di Adria (RO), Mirano (VE) e Campodarsego (PD) che risultano infatti tra gli impianti con le concentrazioni di metano più significative.
Nel dettaglio, le flange monitorate presso la stazione di Adria hanno registrato una concentrazione media di metano pari a 659 ppm, classificata di livello medio. Inoltre, l’11,6% delle misurazioni valide ha evidenziato una concentrazione di livello alto, ossia superiore a 1.000 ppm.
A Campodarsego, i monitoraggi hanno interessato due elementi, ossia piccole valvole e una flangia, con il 19,8% dei punti di misura validi che ha fatto registrare concentrazioni di livello medio, ossia in un range compreso tra 100 e 1.000 ppm. Anche a Mirano, l’attività ha riguardato una stazione di valvola in cui sono stati monitorati due elementi: alcune piccole valvole e un bullone arrugginito. Le valvole hanno registrato una concentrazione media di 139,3 ppm, mentre il bullone ha raggiunto una media di 140,8 ppm. Complessivamente, il 33,7% dei punti di misura validi ha mostrato concentrazioni di livello medio.
Oltre a questi dati che segnalano perdite di metano oggetto di particolare attenzione, il monitoraggio condotto da Legambiente ha portato alla luce 65 punti di misura con valori superiori ai 500 ppm, la soglia fissata dal Regolamento europeo sulle emissioni di metano che prevede l’obbligo di intervento in caso di superamenti.
Tra tutti gli impianti monitorati, ritorna la stazione di valvola ad Adria, in cui Legambiente ha rilevato il numero più elevato di sforamenti: 31 punti di misura oltre i 500 ppm su un totale di 241 misurazioni effettuate, relativamente ad alcune flange. Sebbene non sia l’unico sito con dispersioni oltre la soglia, quello di Adria rappresenta, tra tutti, l’impianto con il maggior numero di criticità.
A Villadose, sempre in provincia di Rovigo, presso un impianto di regolazione e misura sono stati analizzati tre elementi – un gruppo di flange e due sfiati per venting – rilevando in totale sette punti di misura con valori superiori a 500 ppm. I monitoraggi effettuati dall’associazione ambientalista presso un impianto REMI a Noventa Padovana (PD) hanno rilevato due superamenti della soglia su una flangia e un gruppo di sfiati. Sempre nella provincia di Padova, presso la stazione di valvola di Campodarsego, Legambiente ha rilevato tre valori superiori a 500 ppm nel monitoraggio di due elementi.
Nel Vicentino, l’analisi ha invece coinvolto quattro impianti: due stazioni di regolazione e misura a Grisignano di Zocco, una stazione di valvola e un REMI nella frazione di Ghizzole, nel comune di Montegaldella. A Grisignano, ciascun impianto ha fatto registrare un punto di misura oltre i 500 ppm, rispettivamente su tre elementi per impianto. A Ghizzole, nell’impianto REMI, sono stati analizzati due elementi, con quattro punti di misura oltre la soglia. Infine, a Marghera (VE), in un impianto di regolazione e misura, sono stati analizzati tre elementi, con un solo punto oltre i 500 ppm. A Mirano, sempre in provincia di Venezia, dove Legambiente ha monitorato una stazione di valvola, sono stati individuati 15 punti oltre la soglia, su due elementi analizzati.
Il metano è un potente gas serra, fino a 86 volte più climalterante della CO₂ nei primi 20 anni. Secondo l’IPCC, è responsabile di oltre un terzo del riscaldamento globale ed è tra le leve più efficaci e a basso costo per raggiungere gli obiettivi climatici, dopo solare ed eolico. Ridurne le emissioni è cruciale per la decarbonizzazione, con effetti rapidi sul clima. Le perdite lungo la filiera fossile sprecano risorse e producono ozono troposferico, nocivo per la salute e l’agricoltura: contenerlo significherebbe evitare 70.000 morti premature l’anno nell’UE e danni agricoli pari a 2 miliardi di euro.
*Nota metodologica: Tutti i monitoraggi sono stati effettuati attraverso l’uso di un “naso elettronico” che sfrutta le caratteristiche del metano assorbendo il raggio laser (a infrarossi) di una specifica lunghezza d’onda (tecnologia di assorbimento a infrarossi). Il raggio laser diretto su parti delle infrastrutture, come tubature del gas o flange, riflette un raggio diffuso dallo stesso elemento e ricevuto dallo strumento come fascio riflesso che misurerà l’assorbenza del fascio, che sarà poi calcolata in densità della colonna di metano (parti per milione per metro – ppm*m).
Dividendo la concentrazione in ppm*m per la distanza stimata in metri tra lo strumento e l’elemento monitorato, si ottiene una stima della concentrazione media lungo il percorso ottico del laser tra lo strumento e l’elemento monitorato in ppm (parti per milione), l’unità di misura più comunemente utilizzata a livello internazionale per valutare le fuoriuscite di metano.
In analogia con le soglie di riferimento impiegate nel settore della sicurezza industriale e tenendo conto che la concentrazione di metano nell’atmosfera terrestre è in media pari a circa 2 ppm, le concentrazioni rilevate possono essere classificate secondo la seguente scala:
- Fino a 10 ppm – valori localmente compatibili con la normalità o solo lievemente elevati → IRRILEVANTE
- Da 10 a 100 ppm – indicativi di potenziali rilasci da impianti o infrastrutture → BASSO
- Da 100 a 1.000 ppm – segnalano la presenza di una perdita significativa → MEDIO
- Oltre 1.000 ppm – indicano un’emissione importante, con possibile rischio di fenomeni pericolosi (es. esplosioni) → ALTO
A questo si aggiunge la soglia di 500 ppm, al di sopra della quale, secondo quanto previsto dal Regolamento europeo sulle emissioni di metano, l’impresa è obbligata a intervenire per riparare o chiudere il punto emissivo.
La campagna nazionale di Legambiente “C’è puzza di gas – Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”, realizzata quest’anno grazie al supporto di Environmental Investigation Agency nell’ambito della Methane Matters Coalition, denuncia i rischi legati all’estrazione e alla distribuzione di gas fossile in Italia, evidenziando le perdite e i rilasci di metano attraverso monitoraggi delle infrastrutture della filiera. Giunta alla sua terza edizione, l’iniziativa punta a promuovere una maggiore trasparenza, controlli più severi, interventi su tutte le perdite e l’eliminazione dei costi in bolletta per le famiglie, considerando che secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, nel 2024 il 40% delle emissioni globali di metano legate al gas fossile avrebbe potuto essere evitato a costo netto zero, favorendo al tempo stesso la transizione verso fonti energetiche più sostenibili. Dopo la Basilicata, il Piemonte, la Campania, le Marche, la Lombardia e la sesta tappa in Veneto, la campagna proseguirà con i monitoraggi in Umbria e Calabria.
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