Quali rischi per il Veneto?
I TERRITORI A “RISCHIO NUCLEARE” SECONDO LEGAMBIENTE
Bertucco: “Referendum del 12 e 13 giugno unica arma dei cittadini contro l’istallazione di impianti nucleari sul territorio”
Moratoria di un anno, fasullo stop alle centrali con il decreto Omnibus, ricorso alla Cassazione per i referendum, efficacissima censura mediatica: queste, secondo Legambiente Veneto, le azioni che il Governo ha messo in atto per boicottare la consultazione referendaria del 12 e 13 giugno.
“Ma i cittadini non si sono lasciati condizionare – afferma Michele Bertucco, Presidente di Legambiente Veneto. Grazie alla campagna informativa itinerante “AutoSTOPnucleare”, i nostri attivisti hanno raggiunto un centinaio di località, nelle sette provincie della nostra regione, informando i cittadini e riscontrando la volontà di fermare il ritorno del nucleare in Italia e la privatizzazione di un bene prezioso come l’acqua. Siamo certi che i cittadini veneti domenica e lunedì andranno a votare e voteranno SI”.
Ma cosa si prospetta per il Veneto se la consultazione referendaria non dovesse raggiungere il quorum?
La regione Veneto è una possibile candidata ad ospitare un impianto nucleare, in particolare nella zona compresa tra Adige e Po, a partire dalla Bassa Veronese fino al mare. Si tratta di un territorio che ha densità abitativa minore che altrove, con popolazione localizzata in piccoli centri diffusi sul territorio. Tale territorio, di origine alluvionale, presenta caratteristiche idonee all’ istallazione di un impianto nucleare: totale assenza di rilievi o asperità, stabilità sismica, grande disponibilità di acqua data dalla presenza dei due maggiori fiumi italiani e di una capillare rete di canali di scolo anche di notevoli dimensioni.
Allo stesso tempo, però, la zona in questione presenta vulnerabilità: “il basso Veneto – spiega ancora Bertucco – soffre per il notevole inquinamento delle acque, per le alterazioni dei corsi d’acqua, per il consistente fenomeno della subsidenza che, in Polesine, ha determinato conseguenze disastrose nella zona deltizia che soffre anche dell’impatto causato dalla centrale termoelettrica di Polesine Camerini e di molte altre criticità”.
E l’istallazione di un impianto nucleare cosa comporterebbe per il territorio?
“Le centrali che il Governo prevede – continua – hanno bisogno di 100 mc/secondo di acqua. Una quantità che il Po sarebbe in grado di fornire. Teoricamente. Queste sono zone a rischio idraulico, cioè zone soggette ad inondazioni periodiche, zone a deflusso difficoltoso, cioè aree di ristagno idrico per mancato drenaggio in quanto terreni poco permeabili, in definitiva, come dichiara il Piano territoriale Provinciale di Rovigo, “zone ad alta vulnerabilità”. Un territorio che può aspettarsi esondazioni, che è mediamente al di sotto del livello del mare (-2,-4 m.), con i due maggiori fiumi di Italia pensili nel tratto polesano può essere indicato per l’istallazione di una centrale nucleare?”
Secondo l’associazione ambientalista occorrerebbero costi aggiuntivi per mettere in sicurezza la centrale. E allora dove sarebbe la convenienza del nucleare?
Non irrilevante è poi la questione relativa alle portate del fiume Po: per garantire l’acqua alla ipotetica centrale veneta, o a qualsiasi centrale localizzata lungo il corso del Grande Fiume, verrebbe sottratta acqua al settore agricolo con particolari disagi proprio nel tratto terminale del fiume. In questa stessa zona, l’ulteriore sottrazione di acqua acuirebbe l’annoso problema della risalita del cuneo salino che, nei periodi di maggiore siccità, si è spinto fino a 25 – 30 km dalla foce impedendo l’utilizzo di acqua per l’irrigazione in un’area che ha superato i 20 mila ettari: di quanti chilometri ancora salirebbe il cuneo salino – chiede Legambiente – se si sommasse alle acque sottratte attualmente, anche il 25-30% (i 100 mc/secondo richiesti da una centrale nucleare EDR) di acqua delle portate di minima?
Già oggi la centrale di Porto Tolle ha obblighi di dimezzamento della produzione e anche di blocco di essa in presenza di portate minime del Po (380 mc/secondo).
Cosa accadrebbe se oltre la centrale a carbone fosse presente una centrale nucleare?
Questa, a differenza di quella a carbone, non può essere fermata. Dunque? Ne verrebbe penalizzata l’agricoltura del Delta e dell’intero Polesine, che si vedrebbe sottratta acqua proprio nei periodi di maggior bisogno.
“Le popolazioni del Basso Veronese, del Cavarzerano, del Polesine, del Delta del Po se la sentono di rischiare?” è la domanda finale che pone Legambiente Veneto.
Lo studio geografico completo dei territori in cui è considerata probabile l’istallazione di un impianto nucleare è a disposizione di chiunque fosse interessato presso la sede di Legambiente Veneto.