L’impianto per la produzione di energia elettrica da biomasse di “Ecoprogetto” non è la soluzione al rifiuto residuo del veneziano
29 maggio 2020
L’IMPIANTO PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA DA BIOMASSE DI ECOPROGETTO NON È LA SOLUZIONE AL RIFIUTO RESIDUO DEL VENEZIANO
INVECE DI FARE SCELTE CORAGGIOSE NEL SENSO DEL POTENZIAMENTO DELLA RACCOLTA DIFFERENZIATA E DELLA RIDUZIONE DEL RIFIUTO RESIDUO, SI È SCELTA LA STRADA PIÙ DISPENDIOSA, SENZA CHIUDERE IL CICLO DEI RIFIUTI
A pochi giorni dall’approvazione in commissione VIA regionale, Legambiente Veneto e i Circoli del Veneziano non condividono, sia a livello di concetto che di metodo, il progetto di Ecoprogetto Venezia srl di realizzazione di una centrale termoelettrica a Fusina alimentata da CSS (Combustibile Solido Secondario derivante dai rifiuti), legno e fanghi di depurazione, perché la proposta di fatto blocca qualsiasi ulteriore sviluppo in direzione di un’economia circolare, basata su raccolta differenziata e riduzione del rifiuto. La Provincia di Venezia, che non brilla particolarmente per raccolta differenziata, è ferma al 63,9%, ancora lontana da quel 72% posto a obiettivo dal Piano Regionale: Il bacino veneziano produce, infatti, un residuo pro capite di 177 kg/abitante x anno, peggior bacino del Veneto per questo aspetto, che di fatto lascia fuori dal ciclo del recupero più di 150.000 tonnellate/anno di rifiuto secco. L’attuale impianto di produzione di CSS di Fusina riesce a recuperare solo il 32% del rifiuto secco in ingresso, con il risultato da un lato di dover bruciare parte del rifiuto secco (con recupero energetico) presso la centrale ENEL, dall’altro di produrre uno scarto di selezione per quasi 70.000 tonnellate/anno che VERITAS deve portare in discarica a Jesolo o smaltire presso l’inceneritore di Padova.
Ma scorrendo le autorizzazioni richieste da Veritas, preoccupa scoprire che l’enorme quantità di rifiuti che l’azienda sostiene di voler incamerare non ha riscontro nella capacità di funzionamento delle tre linee che, ricordiamo, non sarebbero affatto autorizzate a funzionare tutte contemporaneamente. In pratica, l’azienda chiede di accumulare mezzo milione di tonnellate/anno tra legno, rifiuto secco, fanghi e percolati ma potrà incenerire in loco sostanzialmente la stessa quantità di CSS che produce ora. Dal progetto non si evince come verrà utilizzato il restante combustibile. Un errore nella documentazione progettuale o una volontà precisa che cela il desiderio di ottenere un revamping nel prossimo futuro per poter bruciare contemporaneamente con tre linee di incenerimento? Un quesito che necessita di una chiara risposta anche dal punto di vista di una programmazione regionale sui rifiuti.
Se è pur vero che l’incombente impossibilità di utilizzare la centrale ENEL per smaltire il CSS va affrontata, vista la sua imminente conversione a metano, lo si è però fatto scegliendo di porre l’incenerimento come elemento centrale della strategia industriale rischiando di depotenziare un impegno sul fronte della riduzione del rifiuto secco residuo, cioè quella parte di rifiuto che non può essere riciclata. Infatti i 177 kg/ab*anno sono lontani dai 100 kg previsti dal piano regionale rifiuti e dai 75Kg dei comuni “rifiuti free” che Legambiente segnala e premia quali esempio da seguire. Impietoso è infatti il confronto con la provincia di Treviso che con 91 comuni su 95 che raggiunge l’obiettivo rifiuti free (arrivando a 45 kg/ab*anno di secco residuo). Quasi quattro volte meno rispetto al veneziano che vede solo 13 comuni su 44 raggiungere l’obiettivo virtuoso. Se nelle strategie di VERITAS si fosse riconosciuto uno sforzo in tal senso, allora sarebbe risultato corretto preoccuparsi di dove smaltire il secco residuo, secondo un principio di responsabilità e prossimità; ma in uno scenario in cui i Comuni veneziani fossero tutti “rifiuti free” allora sarebbe bastato porsi il problema di trovare la tecnologia per smaltire solo 64.000 tonnellate/anno di rifiuto secco, invece degli oltre 150.000, cioè meno della metà.
Va ricordato che la logica della produzione del CSS è quella estrarre dal rifiuto secco la parte combustibile dello stesso, in modo che possa essere utilizzata presso impianti industriali energivori, come i cementifici. Con questo progetto invece si consuma energia per estrarre il CSS dal secco per poi bruciarlo in una centrale termoelettrica fine a se stessa, mandando comunque a smaltire ogni anno fuori bacino, o presso la discarica di Jesolo fino al suo esaurimento, oltre 50.000 tonnellate di scarti di selezione (CER191212), di fatto non rendendo la provincia di Venezia veramente autosufficiente.
Per sostenere dal punto di vista energetico la nuova centrale, nel progetto si prevede inoltre di poter bruciare rifiuti legnosi che solitamente, e giustamente, trovano diversa collocazione in termini di recupero di materia: sfalci verdi a compostaggio per restituire carbonio ai terreni, oppure legno per la realizzazione di pannelli in truciolato o laminato. Le priorità delle 4R (ridurre, riutilizzare, riciclare, recuperare energia) vengono in questo caso invertite, andando in senso contrario agli obiettivi UE. Perplessità sorgono di fronte alla richiesta di poter ricevere 150.000 tonnellate/anno, praticamente tutto il rifiuto legnoso del Veneto, di cui, in pratica, solo una minima parte sarà utilizzata nelle linee di combustione. Peraltro va ricordato che il legno da potature, non è un buon combustibile, a meno che non si consumi energia per essiccarlo.
Sul fronte dei fanghi di depurazione, Legambiente, pur essendo cosciente delle problematiche legate al loro riutilizzo in agricoltura, ritiene che Ecoprogetto abbia scelto la strada meno sostenibile per il loro trattamento. I fanghi da depurazione, avendo un contenuto di acqua variabile tra il 70 % e l’80%, prima di poter essere bruciati devono essere essiccati; il bilancio energetico complessivo quindi è negativo, perché l’energia spesa per essiccarli non compensa quella recuperata bruciandoli. La possibilità di recuperare azoto e fosforo non viene presa in considerazione, come non viene valutata in alternativa la pirolisi dei fanghi, processo a ridottissime emissioni che avrebbe l’effetto di produrre un syngas, utilizzabile come combustibile, ed un carbone residuo. Va ricordato inoltre che la Provincia di Venezia produce 60.000 tonnellate di fanghi /anno, per cui è evidente che la richiesta esplicitata nel progetto di trattare 90.000 tonnellate è intesa a soddisfare una buona fetta del mercato regionale.
Gravissime preoccupazioni sorgono per le emissioni in atmosfera in un contesto già fortemente compromesso in cui la centrale di Fusina contribuirebbe a peggiorare la qualità dell’aria rispetto agli ossidi di azoto e PM2,5 già oggi uguali o superiori al limite normativo. Del possibile impatto sull’habitat lagunare poi non v’è traccia: basta vedere cosa è successo giorni fa con l’incendio della 3V Sigma, per rendersi conto del rischio in caso di incendio accidentale degli stoccaggi di rifiuti. La procedura di valutazione d’impatto ambientale è stata trattata con colpevole sufficienza da parte di Ecoprogetto, sbagliando addirittura le modalità di presentazione, e dovendo ricorrere a pesanti integrazioni a seguito delle richieste di Comune di Venezia e Regione Veneto.
Legambiente è da sempre impegnata sul fronte della riduzione della produzione dei rifiuti a favore di un’economia circolare, di cui il Veneto è motore a livello italiano. Ci saremmo aspettati un maggior coraggio, da parte di uno dei bacini regionali più in ritardo da questo punto di vista, nel potenziare la raccolta differenziata, utilizzando nel frattempo la discarica di Jesolo come supporto, per arrivare al più presto, al massimo tra qualche anno, all’obiettivo dei 75 kg/abitante x anno di rifiuto secco residuo, e trovare magari una sinergia con Trevigiani e Bellunesi, per alimentare ad esempio il cementificio di Pederobba (che già oggi brucia plastiche) con il CSS prodotto da queste province, per arrivare infine a doversi preoccupare dello smaltimento dei soli scarti di selezione.
Legambiente stigmatizza questo tipo di progettualità, per di più in un habitat delicato e già ampiamente degradato da strutture industriali, scoraggiando il necessario passaggio di tutta la Provincia ad un’economia veramente circolare. Riteniamo che lo sviluppo di impianti industriali di potenziale impatto debbano essere dimensionati e progettati con uno sguardo ai prossimi 20-30 anni, in una seria prospettiva di riduzione dei rifiuti, come imposto dalle normative UE. Consci che la combustione sia una delle poche vie per lo smaltimento di determinate tipologie di rifiuti, siamo a chiedere maggiore impegno per l’implementazione di nuove tecnologie meno invasive e più consone allo sviluppo di una vera economia circolare dai rifiuti. In questo senso saremmo stati meno sorpresi se la proposta di dimensionamento dell’inceneritore fosse stata elaborata con una capacità pari alla metà di quanto attualmente prodotto da Veritas, in modo da stimolare ulteriormente la virtuosità nel ricircolo dei rifiuti e la loro riduzione.
In fine si richiede una maggiore attenzione alla partecipazione della popolazione, anche attraverso un rinnovato protagonismo del Consiglio di Bacino Venezia Ambiente, oggi defilato nelle scelte. Per tali decisioni strategiche e di ampio respiro, è indispensabile attivare campagne di informazione e sensibilizzazione oltre che mettere a disposizione in tempo reale e senza filtri sia i principali dati di rilevamento degli indicatori ambientali che le progettualità ipotizzate. Per questo, chiediamo che i fondi recuperati attraverso la necessaria riduzione dell’attuale progetto, così come parte dei futuri risparmi, vadano interamente investiti in sperimentazioni di nuove tecnologie per ridurre le proprie emissioni e per sostenere corsi, a tutti i livelli, di sensibilizzazione ambientale.
Legambiente Veneto
Legambiente Circolo di Venezia
Legambiente Circolo del Miranese
Legambiente Circolo della Riviera del Brenta
Legambiente Circolo “Geretto-Pascutto” del Veneto orientale